MENANDO GLI ANNI Una Musica dalle mille voci di Francis Biggi La storia della musica, ed in generale la storiografia delle forme d'arte, tende a riunire in grandi famiglie stilistiche l'opera di autori che pur condividendo una comune prospettiva estetica, provengono da ambienti e paesi diversi. E' un processo guidato dalla necessità di poter esaminare in modo organico l'evolversi ed il trasformarsi del pensiero musicale, la nascita e l'espandersi de forme e linguaggi. Semplificare l'interpretazione degli eventi, riunendoli in macrostrutture portatrici di caratteri comuni minimizzando le differenze individuali, è l'unico modo possibile di orientare nel tempo e nello spazio fenomeni complessi e spesso difficilmente descrivibili se si volesse tener conto della miriade di eventi che ne hanno in qualche modo influenzato la formazione. Il problema è noto ed evidente: più vi è la tendenza a sintetizzare, descrivendo un panorama vasto, ma tracciato a grandi linee, più risulta difficile applicare il modello generale ai casi particolari. Così, ad esempio, ci si ritrova a parlare spesso di Ars Nova fiorentina, oppure delle forme peculiari della polifonia italiana alla fine del Quattrocento, dimenticando quanto fosse diversificata la vita culturale italiana in secoli così lontani. Certo, vi sono città, corti principesche, che furono per lungo tempo capitali maggiori, nelle quali la disponibilità economica e la possibilità di scambi intensi con il resto della penisola e con l'Europa consentivano l'elaborazione e la sperimentazione di nuove idee e nuove forme musicali. Tuttavia è improprio considerare marginali altre parti d'Italia che fuori dai limiti di una prospettiva sintetica si rivelano anch'esse ricche di tesori musicali unici. Ma l'Abruzzo non rientra tra queste: l'Abruzzo e stato uno dei luoghi maggiori nella storia della musica e della cultura italiana tra Medioevo e Rinascimento. Fu culla di una poesia fervente e ascetica: Frate Tommaso, amico di Francesco d'Assisi ed autore della celeberrima sequenza Dies Irae, era originario di Celano e Pier da Morrone, Papa Celestino V scrisse laudi in lingua volgare che bruciano di una spiritualità quasi visionaria, delle quali purtroppo non ci è pervenuta la musica. La lauda medievale ebbe in Abruzzo una sua specifica estetica, diversa dai modelli toscani. Ebbe contenuti fortemente didattici ed evocativi, più vicina alla predicazione che alla celebrazione, ricca di spunti drammatici e psicologici di grande suggestione. In un Italia tutta solcata da correnti internazionali di commercio e di cultura, l'Abruzzo fu tutt'altro che una terra periferica o isolata. La ricchezza dei centri maggiori in epoca federiciana ed angioina -L'Aquila fu per due secoli la città più importante del regno dopo Napoli- ne fece una terra adorna di splendide città e di splendidi monumenti, i cui destini erano retti da un sistema feudale solido e articolato. In seno alle comunità religiose, ricche di beni ed influenti, si diffuse l'uso della polifonia. I canti di Guardiagrele e di Rocca di Mezzo, pur differenti per epoca e contenuto dimostrano che in Abruzzo vi erano istituzioni in grado di formare o assumere cantori specializzati in repertori che richiedevano competenze tecniche non certo marginali. Ancora di più, queste musiche dimostrano che la regione partecipava al complesso sistema di scambi che legava le istituzioni religiose in Italia e in Europa consentendo la diffusione di forme musicali e tecniche di composizione maturate in ambienti assai diversi.La progressiva laicizzazione dell'ambiente culturale, l'incremento della circolazione di idee e persone furono all'origine di una scuola musicale che dalla Francia, come già era stato per la poesia dei trovatori, si diffuse in breve tempo in tutta Europa e specialmente in Italia. L'Ars Nova italiana nacque come fenomeno di importazione, ma l'elaborazione di idee provenienti d' Oltralpe trovò da noi strade originali, così diverse dai modelli francesi, almeno inizialmente, da indurci a pensare che gli autori italiani di polifonia dovevano necessariamente condividere un pensiero musicale autoctono, dalle caratteristiche ben riconoscibili: gusto per la bella linea fiorita, sostanziale semplicità della struttura polifonica. Sono tutte caratteristiche proprie di un'arte musicale composta in origine sull'aere e tramandata oralmente, solidamente radicata nel sentire collettivo. L'influsso transalpino si affermò con il tempo e diversi musicisti italiani seppero padroneggiare con sapienza uno stile compositivo di grande complessità ritmica e contrappuntistica. Altri continuarono a comporre al modo italiano senza però chiudersi alle innovazioni del linguaggio di scuola francese, che era ormai divenuta maniera internazionale. Tra costoro, uno dei più grandi fu indubbiamente Antonio Berardo da Teramo. Uomo dal fisico ingrato e deforme - Zacara era un soprannome che faceva riferimento al suo infelice aspetto alludendo a Zaccheo, il pubblicano che a causa della bassa statura dovette arrampicarsi su un albero per vedere Gesù - fu uno dei maggiori musicisti del suo tempo, tra i massimi rappresentanti dell'Ars Nova italiana, ma padroneggiò con maestria anche l'esoterico e raffinato stile internazionale conosciuto come ars subtilior. Zacara fu indubbiamente musicista di grande genio, ma la vastità dei suoi orizzonti deriva anche dalla vivacità dell'ambiente musicale in cui crebbe e si formò. Il contemporaneo Ricci de Nucella è conosciuto per una sola composizione: De bon parole tal pronto se fa, contenuta in un manoscritto della biblioteca di Strasburgo. La presenza in un codice transalpino dell'unico brano pervenutoci di un musicista abruzzese altrimenti destinato all'oblio -un brano con testo italiano, ma composto secondo i canoni dell'ars subtilior - è un'ulteriore testimonianza di quanto assidui fossero, nella regione, i legami con la polifonia d'alta scuola. Una conferma ci viene dai Corali di Guardiagrele, che risalgono ai primi anni del Quattrocento. I codici presentano, accanto al repertorio monodico, delle polifonie in stile italiano che trovano concordanze in manoscritti romani e senesi. Contengono anche un interessante esempio di contrafactum, ovvero l'utilizzazione della musica di una tra le composizioni più conosciute di Francesco Landini, la ballata Questa fanciull' Amor, per intonare l'Agnus Dei. A quel tempo, l'impiego di musiche profane molto conosciute come base per brani di contenuto devozionale quando non addirittura liturgico, era un fenomeno corrente. Lo stesso Zacara ci ha lasciato un' importante serie di composizioni sacre costruite su proprie ballate.Il Rinascimento fu ancor più prodigo di personalità e documenti, a partire da un'altra figura primaria nella storia della musica italiana: Serafino de' Cimminelli dall'Aquila. Nato nel 1466, in un Regno di Napoli divenuto ormai aragonese, si formò alla corte del Conte di Potenza e nella sua stessa città natale, da cui partì nel 1484 per raggiungere il seguito del cardinale Ascanio Sforza a Roma; qui, in un ambiente culturale fervido e cosmopolita, incontrò Josquin, a cui si legò di amicizia. Serafino si fece notare per la sua abilità nel cantare versi improvvisati e divenne immensamente popolare in tutta Italia. La sua versatilità era la perfetta rappresentazione dell'umanesimo cortigiano: il fatto che i suoi contemporanei ne esaltassero le qualità di musico e che a noi non sia pervenuta nessuna composizione che possa essergli attribuita con certezza è il segno di quanta importanza avesse, nel gusto collettivo, l'arte della declamazione cantata. I contemporanei lo consideravano grande non perchè sapesse comporre in modo originale nuove musiche, ma perchè era bravissimo ad interpretare testi cantandoli su melodie predeterminate, gli aeri, che probabilmente ogni poeta-interprete adattava alle proprie capacità. L'abilità di legare il senso e il contenuto delle parole all'espressione patetica della melodia era giudicata una qualità paragonabile all'arte di comporre complesse polifonie. L'opinione diffusa voleva la polifonia di scuola internazionale adatta soprattutto alla musica sacra e cerimoniale, mentre la declamazione cantata era giudicata la forma più perfetta del canto profano. Le testimonianze dell'epoca sono chiare: Serafino era considerato il musicista più illustre insieme a Josquin ed egli stesso si considerava tale se, nell'inviare un sonetto al grande maestro Ultramontano, lo indirizzò "Ad Iusquino suo compagno musico". Serafino muore di malattia a 34 anni, nella costernazione generale. Era stato un genio ribelle: il suo biografo Vincenzo Calmeta lo descrive trasandato nel vestire, poco rispettoso dei potenti, volentieri coinvolto in scontri armati. La sua figura rimase per lungo tempo un modello di riferimento artistico e molti suoi poemi vennero musicati in seguito. Una raccolta di brani polifonici conservata presso la chiesa di Santa Maria della Neve a Rocca di Mezzo è un'ulteriore prova, se ve ne fosse bisogno, della ricchezza dell'antico patrimonio musicale abruzzese. Racchiuse in un codice di cantus planus che risale al 1519, le polifonie sono state aggiunte al manoscritto in anni seguenti. Le composizioni, tutte sacre tranne una, dimostrano di essere fortemente influenzate dallo stile franco-fiammingo. In questo, paiono adeguarsi alle opinioni correnti del tempo, che, come abbiamo visto, consideravano la polifonia alla "fiamminga" adatta soprattutto al repertorio sacro. A parte un brano di Josquin, le altre musiche sono opera di anonimi o di una coppia di autori a noi sconosciuti, Laurentius Gasparinus, o Gaspard e Johannes de Oleo. Di questi, il più interessante è indubbiamente il primo. Gaspard era probabilmente di origine transalpina, ma su di lui non abbiamo alcuna notizia certa; pure, si rivela un buon autore e per uno dei singolari casi della storia, l'unica fonte che conservi sue musiche è il codice di Rocca di Mezzo. Johannes da Oleo era invece italiano e la sua unica composizione, il mottetto Hodie Maria Virgo caelos ascendit è un brano dal contrappunto severo e lineare, omoritmico; è polifonia semplice, modulare, nello stile della lauda polifonica. L'unico brano profano di Rocca di Mezzo, come accade di frequente nelle raccolte musicali del Rinascimento, si mescola senza alcuna contraddizione apparente ai brani religiosi. Si tratta di una villanella alla napoletana a tre voci, genere di colore popolaresco assai in voga nel Cinquecento. Attorno alla metà del XVI secolo i musicisti abruzzesi non mancarono di guadagnare fama e considerazione in tutta Italia. Tra questi fu Cesare Tudino da Atri, che pur mantenendo tutta la vita un forte legame con la propria città, fu a Roma dal 1548, come organista a San Giovanni in Laterano ed ebbe contatti con Giovanni Jacopo Trivulzio, signore di Vigevano. Compose brani sacri, madrigali e villanelle alla napoletana. Le sue musiche alternano caratteri di complessità e sperimentazione, come avviene per i madrigali cromatici, a forme più piane, come nelle villanelle, in cui non si discosta dalle caratteristiche stereotipe del genere. Nel 1558 prese servizio come organista presso la cattedrale di Atri e mantenne quest'incarico per un trentennio. Compositore di grande prestigio fu Bernardo Lupacchino. I documenti lo dicono prete nel 1543 a Vasto, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, ma viaggiò probabilmente in Italia Settentrionale già dal 1547. Nel 1552 venne nominato maestro di cappella a San Giovanni in Laterano, facendosi allontanare dal prestigioso incarico tre anni più tardi, a causa della vita poco riservata che conduceva. A Roma incontrò certamente Cesare Tudino, che già da qualche anno prestava servizio come organista nella stessa chiesa. A giudicare dalle stampe pervenuteci, Lupacchino fu essenzialmente autore di composizioni profane; era abile nel contrappunto, a volte anche ardito. Aveva una predilezione particolare per lo stile declamatorio e per i testi dal linguaggio descrittivo e colorato, in sintonia con il carattere delle sue musiche. Nel 1559 pubblicò con Gioan Maria Tasso una raccolta di brani a due voci privi di testo, che come accadeva spesso per i bicinia, avevano probabilmente uno scopo didattico; il "Primo libro a due voci" godette di notevole diffusione e venne ristampato fino al XVIII secolo.È difficile tracciare una sintesi al termine di questo breve viaggio. Il tratto comune nell'opera dei compositori abruzzesi del Medioevo e del Rinascimento è certamente la grande diversità di intenti e di mezzi espressivi, che dimostra quanto fosse aperto alle influenze esterne e ai nuovi linguaggi l'ambiente musicale in cui si formarono e quanto la disponibilità ad assimilare il nuovo fosse un carattere costante lungo i tre secoli che questa registrazione prende in esame. Ma se volessimo assolutamente cercare un filo rosso che unisca idealmente Tommaso da Celano, Zacara, Serafino o Bernardo Lupacchino, allora potremmo forse trovarlo nell'importanza che la parola assume nelle loro composizioni. Tommaso mette al servizio di uno dei testi più potenti della lirica mediolatina una melodia di grandissima suggestione e compone il brano più celebre di tutto il Medioevo. Le geniali architetture musicali di Zacara sostengono liriche dense di riferimenti, di cose, di persone. Serafino, a dire dei suoi contemporanei fu, semplicemente, il migliore. Nessuno, meglio di lui, come ci racconta il Calmeta, fu in grado di concordare le parole con la musica per "imprimerle nell'animo delle genti".